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Santi Patroni di Tuscania
Anche quest’anno si rinnova la ricorrenza dei festeggiamenti dei “Santi Patroni di Tuscania”
Si tratta di, tre martiri autentici, cittadini romani martirizzati tra il 250 (persecuzione dell’imperatore Decio) e il 258 (martirio di papa Sisto II), il giorno 8 agosto per alcuni martirologi, il 9 agosto per altri più antichi.
E’ probabile che il martirio sia avvenuto il 9 agosto e poi anticipato all’otto, nella Chiesa di Tuscania, perché il 9 era la festa della vigilia di S. Lorenzo, martire di prima grandezza.
I tre santi martiri sono attestati in molti martirologi a cominciare da quello Geronimiano, il più antico registro di santi, il cui nucleo centrale, composto tra il 431 e il 450 nell’Italia settentrionale, elenca un gran numero di santi romani. Questa circostanza è di estrema importanza per l’autenticità dei tre martiri, infatti sta ad indicare che l’autore si è servito sicuramente di “fonti romane” per redigere il testo. Inoltre il martirio, dei tre cristiani, è avvenuto appena 200 anni prima della composizione dell’inventario agiografico e quindi, certamente, il racconto della loro passione era ancora vivo nella Città eterna. Poi trattandosi anche di personaggi importanti della società dell’Urbe, è assodato che venivano rammentati a titolo di orgoglio, e proposti a modello, anche per questo, dalla Chiesa di Roma.
Gli Atti del martirio, dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, sono stati scritti però circa 150 anni dopo la loro prima attestazione e pur se improntati ad altri documenti di martiri ( c’è una forte simmetria con i fatti narrati negli Atti del martirio di S. Cipriano avvenuto nel 257: prefazione, esilio, processo, sepoltura nel luogo del martirio), alla devozione popolare e sicuramente con intenti non biografici, tuttavia ci consentono di recuperare alcuni elementi di autentica storicità della vita dei tre cristiani. Infatti molti dati temporali, personaggi (imperatore Decio, papa Sisto II) e località geografiche (porto Colonna detto Colonnaccia nei pressi di S. Marinella, Civitavecchia), rammentati nella passio, risultano concordanti e veritieri.
Mettendo insieme, in modo critico, le informazioni dei martirologi e delle tre redazioni della passio, si può affermare che i “Santi martiri tuscanesi” erano tre amici dell’aristocrazia romana colti, con incarichi nell’amministrazione imperiale (per gli Atti Secondiano era un nobile togato e letterato con incarichi imperiali, gli altri ufficiali di prefettura). I loro uffici hanno consentito, ai tre dotti, un contatto diretto con la vita e la fede cristiana alla quale, qualche tempo dopo, aderiranno in modo convinto e incondizionato con la vita e le opere (Secondiano ha partecipato in prima persona a persecuzioni anti cristiane) .
Ricevuto il sacramento del battesimo, vennero confermati nella fede da papa Sisto II, forse per il ruolo che ricoprivano nella società della capitale dell’impero.
Durante la persecuzione di Decio, i tre amici, riconosciuti cristiani, furono invitati a desistere dal prefetto Valeriano; ma poiché questi persistevano nei loro propositi, vennero inviati in esilio a Civitavecchia (Centumcellae), per una eventuale resipiscenza, dal Promoto consolare di Tuscia Quarto. Questi constatato la loro risolutezza nella fede in Cristo, dopo un regolare processo, li condannò alla decapitazione. La condanna venne eseguita nella località Colonnaccia (l’antico porto Colonna nei pressi di S. Marinella) e i loro corpi gettati in mare.
La notte seguente un presbitero di nome Deodato raccolse i corpi dei tre santi uomini e li seppellì nei pressi del luogo del martirio.
Con la costruzione del Duomo di Civitavecchia le reliquie dei martiri vennero traslate nell’edificio sacro.
Nell’alto medioevo le coste italiane, e in particolare quelle dell’alto Lazio, divennero malariche e insicure, sicché le popolazioni si trasferirono nell’entroterra. Nel 648 il vescovo di Tuscania Valeriano per mettere al sicuro le spoglie mortali dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, decise di portarli nella sua Cattedrale. La traslazione delle reliquie da Civitavecchia a Tuscania, riportata da diversi autori, è ricca di suggestioni popolari e leggende. Si narra che molte città, della Chiesa di Tuscania, si disputavano il possesso delle reliquie, sicché il vescovo, per porre fine alle contese, propose che, i sacri resti dei tre martiri, fossero posti su un carro trainato da due giovenche e dove queste si fossero fermate li sarebbero rimasti per essere venerati dal popolo. Il carro attraversò Tarquinia, il fiume Marta e infine si diresse verso Tuscania dove seguì “la strada che si inerpica verso il colle della Civita” in cima al quale era posto la “chiesuola” di S. Pietro, qui i giovenchi si fermarono esanimi.
Con l’arrivo delle spoglie dei santi Secondiano, Veriano e Marcelliano la chiesa di S. Pietro fu ampliata nell’attuale splendida basilica romanica e nella cripta furono deposte i resti mortali dei tre uomini, che avevano dato la vita per Cristo, e dichiarati patroni della città.
Nel secolo XVI le reliquie vennero trasferite nella chiesa di S. Lorenzo, perché la popolazione si era trasferita sui poggi occidentali del territorio suburbano, dove rimasero fino al 1971 quando, a causa del terremoto che colpì il centro abitato, furono portate nel monastero delle clarisse della stessa città. Dal 1983, con il restauro del Duomo, le reliquie hanno trovato definitiva sistemazione nella cappella del SS. Sacramento del più importante tempio del centro abitato.
E’ probabile che il martirio sia avvenuto il 9 agosto e poi anticipato all’otto, nella Chiesa di Tuscania, perché il 9 era la festa della vigilia di S. Lorenzo, martire di prima grandezza.
I tre santi martiri sono attestati in molti martirologi a cominciare da quello Geronimiano, il più antico registro di santi, il cui nucleo centrale, composto tra il 431 e il 450 nell’Italia settentrionale, elenca un gran numero di santi romani. Questa circostanza è di estrema importanza per l’autenticità dei tre martiri, infatti sta ad indicare che l’autore si è servito sicuramente di “fonti romane” per redigere il testo. Inoltre il martirio, dei tre cristiani, è avvenuto appena 200 anni prima della composizione dell’inventario agiografico e quindi, certamente, il racconto della loro passione era ancora vivo nella Città eterna. Poi trattandosi anche di personaggi importanti della società dell’Urbe, è assodato che venivano rammentati a titolo di orgoglio, e proposti a modello, anche per questo, dalla Chiesa di Roma.
Gli Atti del martirio, dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, sono stati scritti però circa 150 anni dopo la loro prima attestazione e pur se improntati ad altri documenti di martiri ( c’è una forte simmetria con i fatti narrati negli Atti del martirio di S. Cipriano avvenuto nel 257: prefazione, esilio, processo, sepoltura nel luogo del martirio), alla devozione popolare e sicuramente con intenti non biografici, tuttavia ci consentono di recuperare alcuni elementi di autentica storicità della vita dei tre cristiani. Infatti molti dati temporali, personaggi (imperatore Decio, papa Sisto II) e località geografiche (porto Colonna detto Colonnaccia nei pressi di S. Marinella, Civitavecchia), rammentati nella passio, risultano concordanti e veritieri.
Mettendo insieme, in modo critico, le informazioni dei martirologi e delle tre redazioni della passio, si può affermare che i “Santi martiri tuscanesi” erano tre amici dell’aristocrazia romana colti, con incarichi nell’amministrazione imperiale (per gli Atti Secondiano era un nobile togato e letterato con incarichi imperiali, gli altri ufficiali di prefettura). I loro uffici hanno consentito, ai tre dotti, un contatto diretto con la vita e la fede cristiana alla quale, qualche tempo dopo, aderiranno in modo convinto e incondizionato con la vita e le opere (Secondiano ha partecipato in prima persona a persecuzioni anti cristiane) .
Ricevuto il sacramento del battesimo, vennero confermati nella fede da papa Sisto II, forse per il ruolo che ricoprivano nella società della capitale dell’impero.
Durante la persecuzione di Decio, i tre amici, riconosciuti cristiani, furono invitati a desistere dal prefetto Valeriano; ma poiché questi persistevano nei loro propositi, vennero inviati in esilio a Civitavecchia (Centumcellae), per una eventuale resipiscenza, dal Promoto consolare di Tuscia Quarto. Questi constatato la loro risolutezza nella fede in Cristo, dopo un regolare processo, li condannò alla decapitazione. La condanna venne eseguita nella località Colonnaccia (l’antico porto Colonna nei pressi di S. Marinella) e i loro corpi gettati in mare.
La notte seguente un presbitero di nome Deodato raccolse i corpi dei tre santi uomini e li seppellì nei pressi del luogo del martirio.
Con la costruzione del Duomo di Civitavecchia le reliquie dei martiri vennero traslate nell’edificio sacro.
Nell’alto medioevo le coste italiane, e in particolare quelle dell’alto Lazio, divennero malariche e insicure, sicché le popolazioni si trasferirono nell’entroterra. Nel 648 il vescovo di Tuscania Valeriano per mettere al sicuro le spoglie mortali dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, decise di portarli nella sua Cattedrale. La traslazione delle reliquie da Civitavecchia a Tuscania, riportata da diversi autori, è ricca di suggestioni popolari e leggende. Si narra che molte città, della Chiesa di Tuscania, si disputavano il possesso delle reliquie, sicché il vescovo, per porre fine alle contese, propose che, i sacri resti dei tre martiri, fossero posti su un carro trainato da due giovenche e dove queste si fossero fermate li sarebbero rimasti per essere venerati dal popolo. Il carro attraversò Tarquinia, il fiume Marta e infine si diresse verso Tuscania dove seguì “la strada che si inerpica verso il colle della Civita” in cima al quale era posto la “chiesuola” di S. Pietro, qui i giovenchi si fermarono esanimi.
Con l’arrivo delle spoglie dei santi Secondiano, Veriano e Marcelliano la chiesa di S. Pietro fu ampliata nell’attuale splendida basilica romanica e nella cripta furono deposte i resti mortali dei tre uomini, che avevano dato la vita per Cristo, e dichiarati patroni della città.
Nel secolo XVI le reliquie vennero trasferite nella chiesa di S. Lorenzo, perché la popolazione si era trasferita sui poggi occidentali del territorio suburbano, dove rimasero fino al 1971 quando, a causa del terremoto che colpì il centro abitato, furono portate nel monastero delle clarisse della stessa città. Dal 1983, con il restauro del Duomo, le reliquie hanno trovato definitiva sistemazione nella cappella del SS. Sacramento del più importante tempio del centro abitato.
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