Spezzatino di coniglio con castegne
Ingredienti:
- Un coniglio spellato da kg 1,5 (per 6 persone)
- 500 g di castagne dei Cimini
- carota, cipolla, sedano, olio extravergine d’oliva
- sale
- pepe
- vino rosso
- salvia
- rosmarino
- brodo di carne
- fiori di finocchio selvatico
Liberate il coniglio dalle interiora, eliminate la testa e le zampe e lasciatelo a bagno nel vino, con due foglie di salvia e un rametto di rosmarino, per una nottata, quindi tagliatelo a pezzi e asciugatelo. In un tegame fate soffriggere in olio extravergine d’oliva un tritato di carota, cipolla e sedano. Adagiatevi quindi i pezzi di coniglio facendoli rosolare un poco, poi uniteci il vino della marinata, due mestoli di brodo, sale, pepe e un pizzico di fiori di finocchio selvatico. A cottura quasi completa aggiungete le castagne sbollentate a parte, insieme con una noce di burro.
Cinghiale della maremma laziale
Si tratta di un animale da considerare come prodotto tipico dal momento che fin dall’antichità è stato presente nel nostro territorio, come testimoniano molti scritti relativi alla caccia. Proprio per questo è stato richiesto il riconoscimento del marchio IGP. Il legame con la nostra terra è stato anche confermato dal fatto che il legislatore che istituì l’Ente Maremma, deputato alla spartizione delle terre della Tuscia per concederle in proprietà ai piccoli agricoltori, scelse come simbolo di questo Ente proprio il cinghiale. Questo animale vive all’interno della macchia mediterranea, nel territorio della Maremma Laziale, che va dai confini della Toscana fino ai monti della Tolfa (territorio che comprende i comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Monteromano, Tolfa e Allumiere), spostandosi frequentemente in quanto molto mobile. In alcune riserve la sua cattura è regolata fino al punto da farne veri e propri allevamenti (dove viene “governato” con avena, ghiande, carrube, granoturco ecc.), mentre in altre zone viene cacciato per diminuire i danni che apporta alle colture. Il maschio di questo tipo di cinghiale è lungo da 150 a 170 cm e pesa intorno ai 120-130 kg. In estate ha pelo grigio e in inverno nerastro formato da setole ispide e da pelo lanoso; nel dorso le setole si allungano a formare una sorta di criniera. È ombroso, rustico, resistente, prolifico (4-12 neonati), onnivoro. Si alimenta di preferenza con prodotti del sottobosco (ghiande, bacche, drupe, radici, frutti in genere). Non disdegna, nelle sue uscite notturne in cerca di cibo durante le quali percorre anche diversi chilometri, di cibarsi di rape, patate e granturco, devastando così intere piantagioni. Dal punto di vista gastronomico possiamo distinguere varie categorie di cinghiale: il cosiddetto cinghialetto di età compresa tra 3 a 6 mesi. È la carne più tenera e delicata, e si può fare in tutti i modi, anche arrosto per i tagli giusti, senza marinatura. L’unico accorgimento è quello della frollatura, cioè il mantenimento dell’animale, sviscerato e scuoiato, in frigorifero per tre giorni. Il secondo è il cinghiale giovane, da 6 mesi a 1 anno, la carne è ancora tenera e il sapore poco accentuato, la cottura può essere preceduta da una frollatura di 4 giorni, ma è consigliabile anche una leggera marinatura fredda. Il terzo è il cinghiale maturo, con età da 1 a 2 anni. A giudizio dei gastronomi, in questa fascia d’età la carne raggiunge il massimo della sua prelibatezza. Il sentore selvatico diventa percepibile ma non in eccesso per cui è sufficiente lasciare il pezzo per 4 giorni in frigorifero e 1 nella marinata fredda. Oltre i 2 anni il cinghiale è adulto, la carne è sempre più dura e di sapore marcato: fino ai 5-6 anni, con marinatura cotta e in preparazioni del genere umido, brasato o salmì, il cinghiale è ancora ottimo. Superata questa età, si può ancora mangiare, ma il suo valore gastronomico è decisamente scadente. Nella nostra cucina il cinghiale è presente soprattutto in due preparazioni tipiche: “in agrodolce alla moda di Maremma” e “in umido a bujone”, ma risulta ottimo anche cucinato “alla cacciatora” e “in salmì”. Le sue carni possono essere lavorate come quelle del maiale per ricavarne soprattutto prosciutti e salsicce.
Frittura di lago
Frittura mista di lago
Scegliere per questo piatto tutti pesci di piccola taglia (luccio, coregone, tinca, trota, alborelle, rovella, persico, latterini, anguille) che non possono essere utilizzati in altro modo. Pulirli accuratamente all’esterno, sventrandoli e gettando via le interiora, senza asportare la pelle alle anguille e non toccare invece i latterini; lavarli tutti ripetutamente in acqua corrente lasciandoli poi a scolare in un colino. Prima di metterli a friggere, asciugarli in un panno di cucina e successivamente gettarli nella farina. Alcune esperte donne di casa, per far in modo che questi pesciolini conservino una certa consistenza e fragranza, consigliano, prima di gettarli nella grande padella di ferro contenente l’olio di oliva caldo, di bagnarli di nuovo fugacemente nell’acqua contenuta in una pentola. Dopo averli girati nella padella per consentire una cottura omogenea, metterli a scolare nella carta assorbente, spolverarvi sopra del sale fino e servirli caldi accompagnati dai soliti spicchi di limone.
Questo piatto oggi viene preparato con pesci più grandi poiché, per prima cosa è proibita la pesca dei pesci di piccola taglia e, secondo, perché in questo stadio i piccoli pesci contengono una notevole quantità di lische, al punto da non rendere gradevole la degustazione del piatto. Una volta però i pescatori utilizzavano proprio questi pesci di piccola taglia, molto ricchi di spine, per evitare di gettare via un prodotto, risultato a volte di una magra pesca.